Finito il Tour de France. Finite le (poche, a dire la verità) emozioni forti.
Detto questo, ce ne sono state, indubbiamente, di meno forti. E di queste parleremo qui.
Piccole istantanee, momenti che restano, scorie impazzite di una Grande Boucle dall’esito scontato.

Ha vinto Chris Froome, come da copione. Di più, sembra l’abbia fatto senza nemmeno dover forzare. Da padrone, ma quasi di più per mancanza di avversari.

Nessun attacco in grado di impensierirlo. Anzi, diciamolo pure: nessun attacco proprio.
Tanto che ad arrivare secondo è Romain Bardet, un francese finalmente. Un outsider, giovane e con un avvenire certo davanti. L’unico che ha provato ad affidarsi all’istinto, al cuore oltre l’ostacolo. Gli altri: zero.

Vivremo con il dubbio Contador: non si fosse ritirato, avremmo forse assistito a un vero duello? Non lo sapremo mai.
Se c’è una cosa che ha detto questo Tour de France 2016 è che Chris Froome è di un altro pianeta, anche senza strafare.

Affidiamoci allora alle emozioni più piccole per raccontare questa ultima settimana di Grande Boucle. Quelle “secondarie”, quelle fuori dalla classifica generale. Nella settimana precedente erano 10, stavolta ne ho contate 10 più una.

Al solito, in ordine sparso.

[Update gennaio 2020]: Ti interessa il Tour de France? Abbiamo pubblicato sul nostro sito un approfondito articolo dedicato alla sua prossima edizione: clicca oltre per leggere del Tour de France 2020.

1 – Peter Sagan o la gioia

Dietro quegli occhialoni neri da finto personaggio hollywoodiano, se la ride. Si vede lontano un miglio.
Vince 3 tappe, conquista la quinta maglia verde consecutiva, con record di punti. Di più, dà battaglia e spettacolo quasi in ogni tappa, sempre combattivo e allegro. Cosa vogliamo di più da un ciclista?
Peter Sagan è il più bel dono che il ciclismo contemporaneo potesse farci. Ce lo abbiamo qui, teniamocelo stretto, che non ne nascono tanti. E chissà che un giorno possa incredibilmente puntare alla classifica generale, vincere il Tour de France. Sarebbe un regalo, quello sì, se possibile ancora più bello. Meraviglioso.

sagan maglia verde al tour de france 2016

Sagan ottiene la quinta maglia verde consecutiva al Tour de France ed è uno dei pochi protagonisti a infiammare le strade del Tour.

2 – Romain Bardet, l’imprevisto da prevedere

Laureato, serio, con pochi duri allenamenti alle spalle. Del 90 anche lui. Stessa classe di Fabio Aru, ma forse, per il momento, un’altra “classe”. Non ce ne voglia il ragazzo di Villacidro, ma questo Bardet ha fatto decisamente meglio di lui pur avendo i suoi stessi anni e le sue stesse attenuanti (Froome di un altro pianeta). Lo avevamo già ammirato l’anno scorso, quando vinse la diciottesima tappa qui al Tour. Oggi è secondo in classifica generale con una sola azione in una sola tappa, la diciannovesima, sul Monte Bianco. Ma che bella. Scala tutta la classifica come una sola salita. Lo fa gettando al vento ogni timore, ogni calcolo. Come si deve fare. E commentando alla fine: è stata solo follia. L’unica cosa che paga. Irrazionale (grazie a Dio).

3 – Nairo Quintana, l’uomo che non c’era

Non c’era, non c’è mai stato, non si sa se ci sarà. È venuto solo per dircelo.
Troppo distante dalla condizione e dai watt di Froome. Forse se ne è accorto subito, e dunque si è smarrito nelle retrovie cercando di non farsi vedere, quasi preda della vergogna. Arriva terzo nella generale, ed è quasi un miracolo: un podio così senza azioni, senza un momento degno di gloria, è più un regalo della provvidenza che altro. Era venuto per vincere, va via da supersconfitto. Ai colombiani manca sempre qualcosa: tanti i nomi dispersi nella nebbia: Perez Cuapio, Rujiano, Betancur, Uran, Enao. Anche Quintana? Dimenticabile.

4 – Kittel e la ruota da un milione di dollari

Ultima tappa, Parigi – Campi Elisi, un bagno di folla. Kittel, uno che punta alla vittoria di tappa, fora e si ferma imprecando. L’ammiraglia lo raggiunge, toglie la ruota posteriore incriminata e lui la getta al vento con disprezzo come fosse una lattina di birra accartocciata. Il cerchione sbatte contro un’ammiraglia. Che dolore per ogni amatore!
Alla faccia di chi 2.000 euro (almeno!) per una ruota in carbonio non le potrà mai spendere. Scellerato.

commento alla terza settimana del tour pantano e bardet

Tour 2016 avaro di emozioni e azioni: tra le poche degne di merito quelle di Pantano e Bardet.

5 – Zakarin e la nutrizionista

C’erano una volta 10 chili di troppo e una clavicola rotta. Il russo della Katusha, caduto al Giro nella discesa dall’Agnello, è redivivo. Dimagrito e rigenerato grazie alla fidanza nutrizionista: “l’ho mandato a correre tutti i giorni quest’inverno, lo seguivo in auto per accertarmi che lo facesse davvero!”. Morale: Inlur vince la tappa numero 17, con arrivo in quota a Finhaut Emossom. “Il sogno di una carriera” dice mentre scuote la testa e la medaglietta che ha al collo, come quasi tutti (chissà perché) i ciclisti russi: ricordate Menchov? Un inno all’amore e alla perdita di peso. Dietetico.

6 – Fabio Aru, il disperso

Infierire non sarebbe giusto adesso. Esordio al Tour. Fa una cronoscalata quasi capolavoro, tappa 18 da Sallanches a Megeve, arrivano i suoi genitori a vederlo. E lui sparisce.
Paga rovinosamente dazio proprio sulla salita che aveva minuziosamente preparato e atteso: Joux Plane, perdendo in un amen (crisi di fame?) ben 17’. È un ragazzo fragile, si intristisce e si esalta troppo facilmente, gli manca la cattiveria e la lungimiranza necessarie a fare quello che potrebbe e vorremmo facesse. Deve però trovarle in fretta: 26 anni, non sono poi così pochi, Vero Bardet? Sconsolato.

7 – Vincenzo Nibali (che non era qui a fare Pantani)

La gente lo vorrebbe sempre un nuovo Pantani. Anche quando non c’è e non è il caso.
Vincenzo arriva a Parigi con oltre un’ora di ritardo da Chris Froome. Questo dicono i numeri. Occorre ascoltarli. Ma un sussulto nella penultima tappa lo dà ed è anche bello. E anche il giorno prima, nella tremenda giornata delle cadute di massa, avrebbe fatto grandi cose, se solo la maglia gialla non gli fosse franata davanti. Dà sempre la stessa bella sensazione: quella di rinascere nelle terze settimane. Era qui per preparare Rio, ha fatto questo. Chi pensava ad altro, sognava. Che è bello, poi però bisogna svegliarsi. Corretto.

maglia gialla lacerata e caduta di Froome e Nibali

Froome e Nibali a terra dopo la caduta e, a destra, l’inglese con la maglia gialla lacerata.

8 – Le cadute

Diciannovesima tappa. Piove, tutti giù per terra. Cadono male in tanti, Tom Dumoulin (perfetto fino a quel momento) è costretto a dire addio al Tour. L’olandese Bauke Mollema ci rimette il secondo posto in classifica. Perde 4’ e finisce decimo. Froome si spaventa di nuovo e torna umano. Nibali, pur salvandosi d’istinto (cade per colpa di Froome) deve dire addio a una tappa dove si capiva che avrebbe stupito. La frazione è un’ecatombe. Le poche emozioni rimaste a questo Tour vengono tutte dalle cadute. Impreviste.

9 – Jarlinson Pantano

Porta un nome importante, per ovvi motivi. Ancora un colombiano, ancora un cuore affamato. È la rivelazione di questo Tour de France. Jarlinson Pantano ha stupito un po’ tutti, tenendo testa a tanti. Majka compreso, cui soffia una bellissima quindicesima tappa. Ma è bello anche come si invola nella discesa della ventesima frazione, lasciandosi alle spalle l’”esperto” Nibali, che forse, sotto il diluvio ha pensato a Rio e al caldo del Brasile. E a non rompersi l’osso del collo su un colle francese. Intrepido.

10 Parigi val bene una messa

Che spettacolo Parigi all’arrivo del Tour. È come se ogni volta avessimo bisogno della Grande Boucle per capire quanto è bella questa città, quanto magnificente, quanto capace di emozionare anche quando è ferita. Il pubblico ama questa corsa come poche cose, il tricolore è ovunque e l’orgoglio di una nazione e di una città trasudano da ogni finestra, davanzale, tombino. Magnificente.

froome al tour de france 2016

Christian Froome festeggia per la vittoria e si commuove in ricordo delle vittime della strage di Nizza.

10 Bis – Chris Froome e le vittime di Nizza

Un’ultima annotazione. La “10 bis”.
La prima cosa che fa Chris Froome il 24 luglio 2016, all’imbrunire, con il sole che degrada sui Campi Elisi, dal gradino più alto del podio della corsa più importante del mondo, cos’è?
Ricordare le vittime dell’attentato di Nizza. E non è una frase di circostanza, ma un discorso pensato, sentito e articolato. Sarà perché ha casa vicino a Nizza, sarà perché conosce la Promenade des Anglais, dove va a pedalare, sarà perché è caduto anche lui a questo Tour. Sta di fatto che questo è il Tour più umano di Chris. Ammirevole.

Per il Tour de France non ci resta che aspettare il 2017: si riparte da Dusseldorf.

A proposito dell'autore

Classe '72, scrittore, giornalista, blogger: le sue "Confessioni di un ciclista pericoloso" sono uno dei blog più letti dai ciclisti milanesi. È stato direttore editoriale di Bike Channel, il primo canale dedicato al ciclismo in onda su Sky ed è autore di 2 libri: "Il carattere del ciclista" (Utet 2016, in uscita nel 2017 anche in Olanda) e "Ma chi te lo fa fare – Sogni e avventure di un ciclista sempre in salita" (Fabbri 2014). Socio di UpCyle, il primo bike cafè restaurant d’Italia, soffre di una dipendenza conclamata per le salite alpine sopra i 2000 metri.