Campagna del nord 2021: il talento dei Fab Four paga (e talvolta imbriglia) Federico Guido 9 Maggio 2021 Brainstorming Alzi la mano chi, terminata la Tirreno-Adriatico 2021 e ammirato il loro schiacciante dominio, non credeva che nelle classiche di primavera delle settimane seguenti Tadej Pogačar, Mathieu van der Poel, Wout van Aert e Julian Alaphilippe avrebbero fatto man bassa di coppe e trionfi. Conclusa qualche giorno fa la campagna del nord con la Liegi-Bastogne-Liegi, possiamo dire che questa previsione sia stata parzialmente confermata: il talento dei quattro, infatti, ha brillato ancora una volta nitidamente sotto gli occhi degli appassionati ma, con una buona alternanza, ha lasciato anche spazio ad altri exploit degni di nota. Tadej Pogacar. I numeri dei Fab Four Le ragioni dietro ai risultati ottenuti da questi campioni del pedale sono più d’una e rendono il discorso sul loro conto tanto complesso quanto intrigante. Innanzitutto però, prima di dilungarci in considerazioni e disamine di vario genere, è bene ribadire che, pur trattandosi di autentici fuoriclasse, i nomi in questione restano sempre quelli di uomini fatti di carne e ossa, persone che faticano, sudano e hanno come tutti le proprie debolezze. Nonostante questo, grazie alle doti in loro possesso, queste stelle del ciclismo hanno fatto registrare a turno prestazioni di primissimo livello, imprese che gli hanno consentito di imprimere il proprio marchio sulle grandi gare di un giorno svoltesi tra Belgio e Olanda. In quest’ottica è rimarchevole come ben sette delle undici classiche disputatesi tra febbraio e aprile in cui almeno uno dei quattro era al via si siano concluse con la presenza di uno di loro sul podio. Quattro (Amstel Gold Race, Gand-Wevelgem, Freccia Vallone e Liegi-Bastogne-Liegi) di queste undici poi sono state addirittura vinte, per una percentuale di successo che supera il 36%. Il numero, se si considera le attenzioni e le pressioni che questi corridori hanno dovuto sopportare, è emblematico se non spaventoso. Tuttavia, vista l’apparente facilità di costoro nel finire nelle posizioni nobili degli ordini d’arrivo e considerate le affermazioni primaverili alla “Corsa dei due mari”, qualcuno si aspettava che questo dato potesse essere ancora più alto. Mathieu Van Der Poel. Il talento non è tutto Ci sono però dei motivi validi per cui il rapporto partecipazioni/successi si è arrestato “solo” al 36%. Il primo risiede proprio nel controllo di cui Pogacar, Van der Poel, Van Aert e Alaphilippe sono stati oggetto. Talvolta infatti, a causa di una tattica aggressiva da parte di altre squadre o azioni a sorpresa (vedi quelle di Kasper Asgreen ad Harelbeke e Dylan Van Baarle all’Attraverso le Fiandre sono per citarne due), i quattro sono stati presi in mezzo trovandosi impossibilitati dopo un po’ a chiudere e disinnescare tutti gli attacchi rivolti nei loro confronti. L’alto livello dei rivali incontrati sulle loro strade poi non solo ha fatto sì che spesso fare la differenza diventasse decisamente arduo ma anche che, sempre da un punto di vista tattico, fossero molti di più i nomi pericolosi (tra questi l’emergente Thomas Pidcock) da controllare e tenere d’occhio per il successo finale. In sostanza, le loro singole qualità atletiche in alcuni casi si sono rivelate insufficienti per girare l’inerzia della corsa a proprio favore e avere la meglio su avversari affamati e preparati che, senza farsi condizionare dalla potenza del quartetto, hanno venduto cara la pelle per alzare le braccia al cielo. Wout Van Aert. Il distinguo tra pietre e Ardenne Questi meccanismi si sono accentuati molto di più nelle classiche delle pietre che in quelle ardennesi. Le prime, per il tipo di strade su cui si sono corse e le variabili che sono entrate in gioco, hanno avuto andamenti più imprevedibili favorendo gli attacchi a dispetto degli inseguimenti e premiando chi aveva davvero la gamba migliore nel giorno della corsa. Trattandosi di manifestazioni oltremodo dispendiose e selettive, queste gare hanno finito per fiaccare in talune circostanze le resistenze del Van Aert o del Van dr Poel di turno i quali, chiamati allo scoperto in prima persona, sono stati costretti ad alzare bandiera bianca (lampante il caso del Giro delle Fiandre) sul più bello lasciando campo aperto a un qualificatissimo parterre di outsider. Le classiche delle Ardenne (e più in generale le corse su asfalto) invece, venendo meno tutte le variabili prodotte dalle pietre, sono state molto più lineari e questo, assieme a un attendismo a tratti inspiegabile, ha permesso ai quattro in questione di poter interpretare gli ultimi chilometri nel miglior modo possibile, sprigionando i propri cavalli e facendo la differenza con le proprie innate qualità fisiche. Julian Alaphilippe. Conclusioni È stata una campagna del nord divertente, con dieci vincitori diversi in quindici corse tra Belgio e Olanda, molti grandi nomi che sono rimasti a bocca asciutta (Greg Van Avermaet, Alejandro Valverde, Michael Matthews, Alexander Kristoff) e la conferma del trend che vede in difficoltà gli over 30 (l’unico successo di un classe 1990 è quello di Sam Bennett a De Panne) al cospetto delle nuove generazioni. In generale poi, il livellamento verso l’alto è stato piuttosto evidente: al via delle varie manifestazioni, la lista dei pretendenti alla vittoria è sempre stata ricca di figure molto valide e competitive. Fra queste però, seppur spesso siano finiti vittima del fuoco incrociato di più nemici, a lasciare un ricordo indelebile alla fine sono stati proprio i Fab Four: Pogacar, Van der Poel, Van Aert e Alaphilippe. Sono loro che, il più delle volte, hanno rubato l’occhio all’obiettivo dei fotografi in queste classiche, eventi che (se mai ce ne fosse bisogno) hanno ulteriormente testimoniato la classe cristallina che li contraddistingue e che li potrebbe portare, nei prossimi mesi, ad altri innumerevoli trionfi.