Marco Zuccari è una nuova penna di BiciLive.it, si definisce un cicloturista-avventuroso, ha scritto due libri: uno sul suo viaggio in India e l’altro su un altro viaggio in Cina. Per BiciLive.it racconta alcune storie sempre in sella, la prima è una vacanza con il proprio cane in bici. Ecco il suo racconto.

Vacanza. Parola magica che evoca tanti pensieri bellissimi e alcuni brutti. Cominciamo da questi ultimi. Vacanza è abbandono di animali, cani soprattutto. Abbandono: comportamento inqualificabile di mostri travestiti da esseri umani. Vacanza è soprattutto pensieri belli. Riposo, viaggio, avventura, sole, cielo azzurro, novità, scoperta, emozioni, spensieratezza e… bicicletta. La vacanza è sinonimo di bicicletta per me.

Non sono un ciclista, sono un cicloturista.

Durante l’anno uso pochissimo la bicicletta, praticamente mai. Solo quando si parla di vacanza allora le due ruote diventano il mio veicolo d’eccellenza. Bicicletta con bagaglio al seguito; itinerario mai definito, sempre lasciato alla casualità del momento.

Libertà di andare, fermarsi, deviare dal percorso per visitare un chiostro antico, un paesetto medioevale, un tempio buddista nascosto nella foresta. Libertà di sentirsi stanchi a pomeriggio inoltrato, libertà di cercare l’albergo o la pensione o il Bed & Breakfast dove avere doccia, cibo e letto. Bicicletta è libertà. Bicicletta è vacanza. Bicicletta è libertà in vacanza e vacanza in libertà.

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Un cane raddoppiò la mia famiglia: ero solo, diventammo due.

Nel 2004 un’altra passione venne a incrociarsi con il cicloturismo. Definire Raul un cane è riduttivo. Boxer fulvo erano le caratteristiche esterne. Quelle intrinseche erano intelligenza e personalità da vendere. Se fosse stato umano avrebbe potuto diventare un premio Nobel. Se si fosse misurato il suo QI avrebbe sicuramente superato quello di molti umani. (Nulla di strabiliante! Anche un cane un po’ stupido potrebbe vantare lo stesso record Nda). Insomma, non so come dirlo: Raul era unico, un essere speciale, un amico fraterno, un compagno di vita.

Cane in bici? Come fare?

In estate io e la mia compagna decidemmo di fare una vacanza in bici discendendo il corso del Danubio dalla sorgente fino al confine tra Germania e Austria, a Passau, esattamente. 600 chilometri di paesaggi incantevoli, percorsi sulle sicure e curatissime ciclabili tedesche. Raul e io eravamo già diventati imprescindibili l’uno dall’altro. Gli avevo insegnato un sacco di cose, ma non ad andare i bicicletta. A pensarci bene, forse ne sarebbe stato capace; non c’erano limiti per lui. Avrei dovuto provare. Si presentava il problema: come conciliare bici e cane?

carrellino bici per cani

Eccolo Raul sul suo carrellino bici per cani, bello comodo…

La soluzione venne dal Belgio dove per lavoro andavo spesso a quel tempo. Lì fortunosamente riuscii a trovare un carrellino da bicicletta specifico per cani. Niente di strano: quelli per bambini si cominciano a vedere anche in Italia, pochissimi, ma se ne vedono. All’estero sono diffusissimi. Io trovai quello per cani, una specie di trasportino in tela impermeabile, montato su due ruote e agganciabile al mozzo posteriore della bici. Quando tornai a casa dal mio viaggio lavorativo in Belgio, portando il carrellino appena acquistato, non vedevo l’ora di montarlo e sperimentarlo.

«Op!»

Dimenticavo di dire che Raul sapeva parlare. No, non era proprio capace di articolare le parole. Lui parlava con lo sguardo, l’inclinazione della testa, gli occhi, la posizione o il movimento della coda. Io capivo perfettamente lui tanto quanto lui capiva me. Il mio era un linguaggio stringato, da uomo verso cane, il suo era un metalinguaggio ricchissimo, il massimo della espressività. Orgoglioso e impaziente condussi Raul davanti al carrello montato, attaccato alla bici e pronto. La parte anteriore aperta per l’accesso invitava a salirci.

Guardai il mio cane e ordinai perentorio: «Op!».

Raul mi guardò con quello straordinario punto interrogativo nel muso che solo lui sapeva fare.

«Vorresti forse dire che devo salire sul quel coso?» metadomandò stralunato.

«Op!» ingiunsi io.

«Ma neanche morto» mi sentii metarispondere.

Raul, razza boxer di origine teutonica, aveva un senso della disciplina spinto fino all’immolazione. Al terzo ordine abbaiato (da me), accompagnato da una robusta sollecitazione con il collare, mi guardò come il condannato guarda il comandante del plotone di esecuzione e salì riottoso sul carrellino. Chiusi con la cerniera il telo anteriore e guardai soddisfatto Raul imprigionato e offeso. Non metadisse nulla. Seduto sulle zampe posteriori, guardingo e preoccupato, sfoggiava la sua migliore interpretazione de “l’essere più avvilito nella storia dell’universo”.

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Salii sulla bicicletta e mi concessi venti metri di prova. Il trabiccolo funzionava benissimo. Ero soddisfatto. Ignorai Raul che metadiceva qualcosa di poco lusinghiero sui miei antenati e ripresi più baldanzoso il giro. Fantastico! Il carrellino era percettibile in partenza, quando si doveva vincere l’inerzia. Appena la bici acquistava velocità, il peso supplementare si annullava. Ovviamente avrei dovuto guardarmi dalle salite, ma le cartine e lo studio del percorso mi assicuravano che il Danubio nel suo scorrere verso il mare non sale mai in collina. In Germania i fiumi li fanno così.

Arrivò il primo giorno di vacanza

Partimmo in auto in tre: io, la mia compagna e Raul. A bordo due mountain bike e un prodigioso, superbo, efficiente, magnifico carrellino per cani. Arrivati a Donaueschingen, ammirate le sorgenti del Danubio, ci rifugiammo in un parcheggio vicino alla stazione ferroviaria dove avremmo lasciato l’auto per ritrovarla comodamente al ritorno in treno. Montammo le bici, i bagagli e il carrellino. Raul gironzolava irrequieto, forse presago di quello che lo aspettava. Al momento di partire si ripeté la scena di quella prima prova. Da quel giorno Raul non aveva più sperimentato il carrellino.

«Op!» intimai.

«Non se ne parla!» fu la metareplica.

Lo guardai in cagnesco. Tra noi funzionava così.

«Va bene. Salgo perché non ho voglia di discutere» metabbozzò Raul conciliante.

Salì circospetto e preoccupato.

Chiusi la cerniera. Non mi fidavo del suo istinto, in qualunque momento avrebbe potuto decidere di scendere in corsa creando una catastrofe per sé e per me.

Gli umani partirono gioiosi; la componente quadrupede della compagnia partì rassegnata. Percorremmo i primi chilometri lasciando la stazione di Donaueschingen, il suo traffico automobilistico e addentrandoci in una soleggiata campagna. Seguivamo le indicazioni per raggiungere la sponda del Danubio che lì è ancora poco più di un rigagnolo. Lo raggiungemmo e cominciò la ciclabile esclusa alle auto. Decisi che Raul poteva partecipare alla spedizione con le sue zampe. Avevo previsto, in quei 600 chilometri fino a Passau, di alternare pezzi in cui avrei portato il mio fedele compagno sul carrellino ad altri in cui l’avrei fatto corricchiare al mio fianco.

Al trotto sulla ciclabile del Danubio

La gioia con cui Raul salutò la liberazione era degna di un consumato attore di Hollywood. Balzò dal carrellino non appena uno spiraglio nella chiusura glielo consentì; saltò a leccarmi il naso per manifestare tangibilmente la sua riconoscenza. Nei successivi trenta secondi “marcò” il territorio quattro o cinque volte, fece duecento metri di corsa ventre a terra per sgranchirsi e fu pronto per trottare al mio fianco. Percorremmo quattro o cinque chilometri a un’andatura che Raul potesse facilmente sostenere. Lui, cane professionista bene addestrato, correva alla destra della mia bicicletta, all’altezza del pedale, senza bisogno di guinzaglio.

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Faceva caldo. La sua lingua già dopo un chilometro sventolava come una bandiera appesa al muso. Io e la mia compagna decidemmo una sosta anche perché dovevamo controllare la mappa. Diedi da bere al prode boxer il quale prosciugò in un baleno tutte le ciotole che gli servii. Mentre consultavamo la cartina si fiondò all’ombra di un albero, sdraiandosi in mezzo all’erba e ansando come un mantice. Lo lasciai riposare qualche minuto, poi decidemmo di rimetterci in movimento. Fischiai per richiamare Raul. Rispose prontamente, trotterellando nella mia direzione.

Mi lasciò a bocca aperta.

Arrivato all’altezza del carrellino, con agilità felina (un insulto per lui) balzò dentro, si acciambellò su se stesso come colui che si appresta a trascorrere lungo tempo in quella posizione e si mise comodo. Mi guardò con occhi neutri e udii la sua metavoce metaordinarmi:

«Garçon, a Passau!».

Fu una vacanza indimenticabile per tutti e tre.

A proposito dell'autore

Marco Zuccari dopo una carriera in ambito tecnico, ha virato verso attività umanistiche amatoriali: attore, presentatore, cantante di coro, fotografo e scrittore. È ciclista ma solo per vacanze avventurose. Da una prima pedalata in India è nato un fortunato libro, La ferocia della capra, e, recentemente, è uscito il secondo, Bicincina. Entrambi catturano il lettore per l’ironia con cui l’autore narra le proprie avventure turistico/sportive.