Giro d’Italia: ricomincio da Tre Giacomo Pellizzari 20 Maggio 2015 Gare Ovvero: la ruota di Richie, i 3 secondi di Fabio e la fatica di Alberto Cominciamo dalla ruota di Richie: il leader del team Sky, Porte, prende 2 minuti di penalizzazione per aver accettato una ruota dal connazionale Simon Clarke (maglia rosa in questa edizione del Giro dopo la tappa di La Spezia) che corre per l’Orica GreenEdge. Cioè non da un suo compagno di squadra. Aiuto non consentito. Episodio singolare e surreale allo stesso tempo. Lo sapeva? Non lo sapeva? Sta di fatto che resta praticamente fuori dai giochi per la vittoria finale. Assurdo. Proseguiamo con i 3 secondi di Aru: si danna l’anima, vuole lasciare il segno e lo fa anche bene. Ma alla fine restano sempre quei dannati 3” da Contador. Chissà quanto se li sogna di notte. Stringe i denti, sa che questo Giro potrebbe essere il suo. Dimentica il mare blu della Sardegna e ci prova. Ci mette tutto il cuore: si commuove quando il suo compagno e amico fraterno Tiralongo vince una tappa, mulina le gambe in salita che è un piacere. Ma niente. 3 secondi sono e 3 secondi restano. E arriviamo quindi al Pistolero: il leader della Tinkov Saxo Alberto Contador è uno spettacolo, lasciatemelo dire. Cade, per colpa di un fotografo, si sublussa una spalla, lascia intendere che il giorno dopo non partirà. E invece, riparte e risponde a tutti gli attacchi del buon Fabio. Si tiene incollato il rosa della maglia che nemmeno gli artigli di Freddy Krueger gliela tirano via. Strameritata. Eroico, Contador combatte come un eroe ferito in battaglia Uno che sa ormai da tempo che il destino non gioca mai dalla sua. Da quel Tour perso l’anno scorso per una caduta stupida quanto crudele. Non molla, se lo sente forse troppo dentro questo Giro, lui che ama l’Italia, lui che da noi ci viene sempre volentieri. Il suo team Manager, il terribile Oleg Tinkov, in un’intervista al Corriere della Sera ha dichiarato: “Se Messi o Cristiano Ronaldo vedessero un solo allenamento di Alberto, capirebbero cosa vuol dire sputare sangue” Una provocazione, un’irrisione pubblica di due campioni planetari Ma una provocazione sana, salutare. Perché dimostra come il suo gioiellino spagnolo, che tanto aveva criticato al Tour, sia oggi più che mai il simbolo di questo sport tanto maltrattato e odiato dai media. Uno sport di cui ci si ricorda volentieri solo quando salta fuori qualche caso di doping o di bici con il motorino. Mai, e dico mai, quando si tratta di sudore, sofferenza e sfide epiche. Il pane quotidiano del ciclismo. E forse l’eroe più bello diventa allora oggi proprio questo spagnolo, malinconico e ormai non più giovane. L’unico a tentare ancora la magica doppietta Giro e Tour. Al di là di calcoli e computer. D’istinto. L’unico capace di correre con una tibia rotta (Tour 2014, prima di ritirarsi), e una spalla sublussata (Giro 2015). Uno che ha una forza d’animo che per certi versi ricorda quella di Pantani. Uno che di botte, dal destino, ne ha prese. Alberto, per quanto mi riguarda, hai già vinto.