Dopo aver tenuto per anni questo sogno nel cassetto, mi sono decisa a fare il Mortirolo in bici, senza cronometro o wattometro, ma da cicloturista per caso quale sono

Dopo avervi raccontato della traversata appenninica da Roma a Pescara, è giunto il momento di spostarci a nord, per una pedalata leggendaria. Scalare il Mortirolo in bici era un’idea che ha iniziato a martellarmi già da tempo. Poi è capitato che il pensiero si facesse sempre più insistente, fino a diventare quasi un’ossessione, una sfida con me stessa. Finché non ho deciso di accettarla.

Ho sempre pensato alle grandi salite tipo il Mortirolo, lo Stelvio o il Gavia, come a delle imprese da cosiddetti “ciclosuonati, che devono dimostrare qualcosa con l’attenzione ai tempi, alle pendenze, ai watt. Io no, la competizione non mi interessa e non devo proprio dimostrare nulla a nessuno se non a me stessa, la voglia di provare a vedere se anche io ce la posso fare, ce l’avevo nel cassetto. Lavoro a stretto contatto con il Giro d’Italia e l’anno scorso andai alla gara a cronometro di Bassano del Grappa e feci la salita del mitico Grappa, 27 km dolci, ma molto lunghi, che mi misero a dura prova, ma mi regalarono anche tanta soddisfazione e soprattutto non ero sola. Avere qualcuno con cui condividere la pedalata ti allevia la fatica.

Quest’anno la sfida si fa più dura perché parto in solitaria. Ci provo senza pensare a quando e come arriverò, solo con la determinazione di provare e di arrivare in cima. Non ho molto allenamento nelle gambe, a me piace andare in bici quando ne ho voglia e come ne ho voglia e alterno la bici alle camminate in montagna per cui parto un po’ così, all’arrembaggio, consapevole che sul percorso sicuramente troverò chi mi aiuterà ad arrivare in cima.

C’è il Giro d’Italia e la tappa del Mortirolo è un classico per il quale il Bel Paese si ferma.

Gli amatori si buttano sulle strade in bicicletta, l’euforia si percepisce, anche chi non vive di ciclismo si appassiona, respira un’aria diversa e si instaura quella solidarietà che ti fa venir voglia di salire in sella, pedalare e sorridere mentre fai fatica. Serve forse un po’ di coraggio e la volontà per iniziare e non mollare.

Sono le 7:30 di mattina, prendo l’auto e arrivo a Grosotto (SO) intorno alle 10:30. Alle 11:45 sono in bici, si parte! Non farò la classica salita da Mazzo di Valtellina, bensì salirò da Grosio per poi continuare per l’Aprica, scendere verso Tirano e chiudere un giro ad anello, arrivando a Mazzo di Valtellina e poi di nuovo Grosotto per un totale 57,5 km (https://www.strava.com/activities/312797468).

Bellissimi paesaggi, bellissima giornata che mi ha reso felice! Da Grosotto prendo la ciclabile lungo il fiume, alla fine della quale verso Grosio, prendo un ponticello sulla destra e subito inizio la salita in mezzo al bosco, questo taglio ripido mi porterà sulla strada principale che parte da Grosio e porta al Mortirolo. Ci sono cartelli ovunque che segnano ogni mezzo chilometro quanto manca al passo e le pendenze che ti aspettano. Queste scadenze mi porteranno ad essere consapevole, chilometro per chilometro, di quello che sto facendo.

Sono sola e pedalo, pensando che la convinzione che devo farcela ad arrivare mi porterà in alto, oltre alla fatica

A dieci chilometri dall’arrivo mi affianca un signore di Bormio, 66 anni, il doppio preciso dei miei, ex operaio nella centrale elettrica di Grosio, con cinque figli di cui due vivono lontano. Gambe depilate, ma con la pancetta, senza pedali a sgancio, ma con le gabbiette ai piedi, ciclista da circa 15 anni. E’ partito prima, lui, perché i suoi amici sono più veloci e sicuramente lo recupereranno. Ha voglia di parlare e salire in compagnia e ha trovato una ragazza che va piano come lui e non ha tutta questa voglia di fare il miglior tempo, ma piuttosto di gustarsi il paesaggio, assaporarsi la giornata e vivere il Giro d’Italia! Il Giro è folklore, è il gruppo di signori pensionati che salgono insieme, è la coppia di amici che va a tutta in salita e vuole arrivare in cima per tifare Aru, è la moglie che accompagna il marito e fa le fotografie a tutto quello che vede, è il figlio che va con il papà per tifare i ciclisti preferiti, è il camperista che campeggia dal giorno prima e griglia le salamelle, il gruppo di ragazzi con le bandiere dell’Italia ed il gruppo di amici che sbandiera uno stendardo in onore di Pantani.

Arrivo al bivio dove si innesta la salita che viene da Mazzo di Valtellina, saluto il mio compagno di fatica che si ferma ad aspettare gli amici. Lo chiamano per sapere dove è e lui da vero uomo risponde: “Sono qui al bivio con una bella bionda!“ (mah, veramente io sono mora!) Foto di rito prima dei saluti, voglio ricordare chi ha condiviso con me questo percorso mitico, chi è riuscito a raccontarmi la sua vita in un pugno di chilometri, senza che io chiedessi nulla.

Mancano 3km alla cima, forse i più duri. La folla è lungo la strada stretta che sale tortuosa, qualcuno mi supporta: “brava, brava!” Per terrà le scritte dedicate ai grandi del ciclismo, 2 km alla fine, 1 km e infine 500 m.

Vedo il traguardo di montagna! È finita, ce l’ho fatta.

Non mi sembra quasi vero, è stato quasi più facile del previsto e sono anche io lì in mezzo a tutti quei ciclisti, quelli veri o presunti! Devo assolutamente farmi fare la foto di rito all’arrivo e davanti al cartello del Passo della Foppa, Mortirolo 1.852 s.l.m. Attendo il passaggio dei corridori e poi via, è ora di iniziare a scendere anche perché la giornata è sempre stata soleggiata, ma ora sono arrivate le nuvole, è anche scesa un po’ di grandine e la strada si è bagnata, meglio iniziare a scendere subito.

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Da buona cicloturista non mi basta essere arrivata in cima al Passo, ho voglia di gustarmi ancora un po’ le montagne e non vorrei scendere ancora dalla stessa strada fatta a salire, per cui scelgo di scollinare verso l’Aprica, invece di scendere verso Monno, prendo la strada che dal passo scende verso destra, passando un piccolo colle e arrivando fino a Trivigno, è lunga, in leggera discesa e passa attraverso bellissimi boschi e poi attraverso una vallata con due piccoli laghetti, paesaggio bucolico, proprio da gita in montagna.

La strada continua è sembra che non debba scendere mai, resta in quota finché arriva un bivio, Aprica o Tirano?

Prendo per Tirano, inizia la discesa, dolce, lunga e bella, sono sola, senza un auto, nessun altro ciclista, qualche malga, qualche casa e bellissimi paesaggi valtellinesi. Ci sono gli asinelli e le mucche e c’è una signora che sta raccogliendo il fieno nel pezzetto di terra dove hanno tagliato il campo.
La strada continua, passa in un bosco, l’asfalto è grosso e un po’ dissestato. Arrivo al primo paese dopo Trivigno, Sernio, da lì via verso Lovero, le case sono vecchie, fatte di pietra e legno, il tempo si è fermato qui. Tengo sempre la destra e praticamente borgo dopo borgo scendo sempre più a valle e arrivo a Mazzo di Valtellina per ritornare sulla ciclabile da dove sono partita e alla macchina lasciata all’altezza di Grosotto. Si respira aria di montagna anche qui, il tempo sembra scorrere più lento e penso di aver chiuso un fantastico giro ad anello che mi ha dato modo di vivere l’emozione del grande ciclismo in un giorno.Ancora una volta ho scoperto posti nuovi, a me sconosciuti, ho finito col pensare che tutto è possibile, anche per una piccola cicloturista come me!

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Del resto: “chi si ferma è perduto!”, lo dico sempre e lo penso veramente.

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A proposito dell'autore

Dopo otto anni di esperienza come Marketing & Communication Manager presso un’azienda multinazionale del mondo ciclo, decide che è ora di un cambiamento. Diventa così consulente freelance per progetti di marketing e comunicazione. Nel tempo libero la trovate in giro con la sua bicicletta verso mete sempre nuove. Cicloturista per caso, le piace pedalare con l’aria fresca che le solletica il viso, organizzare i suoi giri sempre con lo spirito della viaggiatrice curiosa. “Chi si ferma è perduto!”.