Dalla Colombia alla Sardegna, passando per i canguri australiani e le rampe friulane

È stato un Giro pazzo. Eppure è finito con la vittoria del più ovvio: Nairo Quintana.

Ha vinto in salita. Ha vinto anche in discesa, quella delle polemiche, giù dalla neve dello Stelvio. Come una volpe si è avventato sulla concorrenza. E, detto tra noi, cosa doveva fare?

Una bandierina rossa sventolata da una moto in discesa non significa neutralizzazione. Significa cautela. E se uno vuole rischiare l’osso del collo, in un certo senso, son fatti suoi.

Nairo, l’uomo delle Ande, il piccolo colombiano che aveva iniziato questo sport perché nel suo paese d’origine c’era solo la bicicletta per spostarsi. E le strade eran praticamente tutte verso l’alto.

Il campione di ciclismo Nairo Quintana

Foto Credit: © movistarteam.com

Nairo, però, anche quello che in salita non ce n’è stato per nessuno. Mai.

La crono del Montegrappa, che poteva essere appetibile per i passisti e per i diretti inseguitori, Uran Uran su tutti, l’ha mandata giù come bere un Crodino. Saliva che pareva nemmeno respirare.

E poi e poi, lo Zoncolan. Monumentale come ha controllato ogni possibile rischio e come è salito anche qui, quasi fosse sulle scale di casa. Pendenze al 22% incluse.

Insomma un fuoriclasse del dislivello.

Uran_1

Foto Credit: © omegapharma-quickstep.com

E gli altri?

Gli altri sono stati un altro colombiano, anche lui piccolo e minuto, ex team Sky ed ex secondo posto anche al giro 2012 alle spalle di Nibali e un prodigioso italiano. Lui non tanto piccolino, a dire la verità, ma bello cattivo quanto la strada si impenna. Ha vinto una tappa bellissima, e ha quasi vinto quella del Montegrappa.

Già, non fosse stato, siam sempre lì, per quel satanasso di Quintana.

Sto parlando di Fabio Aru. Avevo detto che, tra gli italiani, lo reputavo il più interessante. E lui, puntuale, ha confermato. È il nuovo astro? Solo il tempo potrà dirlo. Certo è che è giovanissimo, ha una grande squadra – la stessa di Nibali – e degli occhi dolci da sognatore.

Ingredienti che, da soli, certo, non fanno un campione, ma aiutano.

Cunego? Basso? Non pervenuti. Come temevo.

I voti non li do, non mi piace. Ma di questo Giro mi son piaciute parecchie cose.

Ne cito innanzitutto una: la tappa dello Stelvio. Resterà nella storia. La discesa da lì, per chi l’ha fatta almeno una volta da amatore, con quelle condizioni, ha dell’incredibile. Non credo che in altri sport ci si prendano tanti rischi.

Anche chi non ama il ciclismo, se per caso si è trovato di fronte a uno schermo quel giorno, non può non aver trepidato, riflettuto, essersi domandando: ma come fanno?
Già. Come fanno? Fanno.

E poi il Montegrappa: salita avara di dolcezze, ricchissima di emozioni. Una scoperta. Vorrei andare a pedalarci domani. Lunghissima e impegnativa. Pensate, conta ben 5 versanti, uno più bello e duro dell’altro, uno più sconosciuto al ciclismo dell’altro. Bella intuizione averla inserito come cronoscalata.

Grande spettacolo vedere emergere i ciclisti come cavalieri dell’apocalisse dalla nebbia verso le lame di sole della vetta, quasi uscissero da inferno e purgatorio in un colpo solo.

Con Quintana, ça va sans dire, a recuperare su tutti e lasciarseli alle spalle come marionette.

E lo Zoncolan? Il Kaiser, orami divenuto lo stadio naturale del ciclismo.
100 mila spettatori abbarbicati su una curva d’erba e sassi, unica al mondo.

Uno spettacolo nello spettacolo. Si smette quasi di guardare la corsa e si finisce per guardare solo il pubblico. Non fosse per la follia di un “fan” che quasi fa cadere il nostro Bongiorno, e sicuramente gli fa perdere la tappa: quasi impossibile ripartire poi da fermo su quelle pendenze. Indagini in corso. Non in senso metaforico.

Infine, permettetemi una nota, personalissima, di merito a Cadel Evans.
Un lottatore mai domo. In mezzo a una selva di giovinastri che paion non fare la minima fatica, lui soffre, il volto gli si corruccia, le tempie gli pulsano. E noi soffriamo tutti con lui. Un guerriero venuto da lontano, con lo spirito di un canguro e le gambe di un gladiatore. Ma tremendamente umano dentro. Vai Cadel, ne hai ancora per anni di emozioni da dare.

Bene, e ora?
Il Giro è finito. Ma il bello è sempre raccontarlo poi. A posteriori. Tenendosi dentro le emozioni di un lungo racconto a puntate. E sono tante.

Ora sotto con il Tour.
Tutti contro Froome. A iniziare da Nibali.

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A proposito dell'autore

Classe '72, scrittore, giornalista, blogger: le sue "Confessioni di un ciclista pericoloso" sono uno dei blog più letti dai ciclisti milanesi. È stato direttore editoriale di Bike Channel, il primo canale dedicato al ciclismo in onda su Sky ed è autore di 2 libri: "Il carattere del ciclista" (Utet 2016, in uscita nel 2017 anche in Olanda) e "Ma chi te lo fa fare – Sogni e avventure di un ciclista sempre in salita" (Fabbri 2014). Socio di UpCyle, il primo bike cafè restaurant d’Italia, soffre di una dipendenza conclamata per le salite alpine sopra i 2000 metri.